Dietro ad ogni missione fotografica che svolgo si nasconde un lungo lavoro di ricerca storica, non voglio fotografare rocce ma devo raccontare le storie degli uomini che su quelle rocce sono rimasti per sempre.
Sono proprio le storie di quegli uomini che mi hanno cambiato, conoscendole da vicino, recandomi a vedere i luoghi dove sono passati e scoprendo sempre di più fin dove si possa spingere l’insensata follia dell’essere umano.
Oggi, a distanza di un soffio di tempo, la mia esperienza è così differente da quella che vissero quei giovani. L’Europa l’ho vissuta in università e la vivo oggi per affetti e per lavoro.
Rileggo alcuni diari di quei soldati che, nonostante abbiano portato il senso del dovere fino al sacrificio estremo, in cuor loro sognavano la pace sul continente.
E’ per questo che ho chiesto a Julia, una giovane alpinista austriaca che sta studiando a Milano nell’ambito del progetto Erasmus di accompagnarmi in questa penultima missione fotografica.
In questi anni di lavori sono tanti gli amici europei che mi hanno accompagnato e che, sempre con stupore e riflessione, hanno ammirato quei campi dell’orrore.
L’obbiettivo di questa missione era quella che prese il duro soprannome di “montagna di ferro e sangue” e credetemi, dalla quantità di ferro che ancora si vede si può immaginare facilmente anche il sangue versato.
Questa volta ho deciso di portare su una bandiera con me. Tale è l’amore per la montagna, per la libertà che oggi abbiamo di passare da un confine all’altro, tale è il rispetto per tutti i caduti che hanno versato il loro sangue nei tanti disperati assalti, che non avrei potuto portare con me una bandiera nazionale.
Non avrebbe rappresentato lo spirito del mio lavoro fotografico. Non ricordo i morti degli uni o i morti degli altri. Voglio rappresentarli tutti. Voglio rappresentare quelli che sono i nostri caduti: i caduti d’Europa.
Julia ed io arriviamo in vetta, quella che era la prima linea austriaca. Tiriamo fuori dallo zaino la bandiera dell’Unione Europea e un brivido mi percorre la schiena. Scendiamo verso quella che era la terra di nessuno fino a raggiungere i reticolati ancora accasciati sul terreno. Arrivati alla prima linea italiana nuovamente issiamo la bandiera dell’Unione.
Raccontatemi quello che volete, ho amici in tutta Europa e soffro solo a pensare a quello che hanno vissuto i miei bisnonni che partirono senza tornare. Quella libertà che non hanno potuto apprezzare e che oggi molti stolti vorrebbero farci perdere.
Nel mentre la bandiera sventola penso alle parole di quel giovane tenente austriaco, Felix Hecht, che morì imbracciando la mitragliatrice rimasto ormai ultimo in una estrema resistenza. Venne sepolto tra i ghiacci dove il suo corpo non fu mai più ritrovato. Il suo diario rivelerà tanto senso del dovere quanto rispetto per il nemico ed una estrema malinconia per quella guerra che devastò il continente.
Mai più! Oggi l’Unione Europea è realtà ed è più di un sogno ed è solo grazie a questa istituzione che noi giovani andiamo a studiare o lavorare dove ci pare e non dobbiamo invece imbracciare il fucile in guerre fratricide. E’ nostro dovere ricordarcelo e ricordarlo.
Chi abbia voglia di contraddirmi prenda lo zaino e salga in montagna con me a toccare con mano le ossa dei caduti.
Le storie di tanti soldati dell’epoca sono raccontate nella mia mostra fotografica “si combatteva qui! 1914 – 1918”.
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